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ALLE ORIGINI DEL VINO

IL CONSUMO DEL VINO NELLA FIRENZE MEDIEVALE

Giovanni Roncaglia, soprintendenza archeologica della Toscana

In collaborazione con Giuseppe Iuppa

Winex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etruscaNei secoli dell'alto medioevo, in Italia come nel resto dell'Europa occidentale, la coltivazione della vite fu limitata a piccoli spazi, recintati e ben protetti, ubicati in aree immediatamente fuori le mura delle città o addirittura all'interno delle stesse.

Infatti per la città di Firenze i documenti della Badia ricordano che tra le attività dei monaci c'era anche la viticoltura, come suggerisce ancora oggi il nome della vicina della Vigna Vecchia e la stessa via dell' Anguillara, che più al termine anguilla deve essere riferito ad un area umida in prossimità di fossi e canali dove crescevano essenze vegetali quali il salice da cui di ricavavano i legacci per le viti.

Testimonianza archeologica della presenza di viti nell'area una volta occupata dall'anfiteatro romano è venuta alla luce proprio in questi ultimi mesi: in occasione di lavori per l'alloggio di fosse biologiche all'interno di un edificio lungo Borgo dei Greci, è stato rinvenuto alla profondità di circa 4 metri dal piano di calpestio un ceppo abbastanza consistente di una vite.

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Tra le numerose vigne cittadine è nota quella dei monaci della Badia Fiorentina, il cui presenza è tramandata dalla toponomastica (via della Vigna Vecchia, via dell’Anguillara). 

L'alto medioevo (VIII-X secolo) è' il periodo in cui il vino, servito nei riti religiosi, impiegato nella farmacopea, consumato unicamente dall'aristocrazia non aveva bisogno di essere contraddistinto da un nome proprio che ne indicasse il vitigno o la provenienza. Bastava proferire 'vino' per indicare un prodotto di prestigio, un articolo di lusso, un bene riservato alle classi dominanti. Un ruolo fondamentale per la ripresa della viticoltura lo ebbe la Chiesa e il ruolo liturgico a cui essa destinava il vino. La farmacopea antica attribuiva all'uso del vino diversi effetti curativi. Si producevano vini medicati con erbe, parti di animali o minerali.

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Il vino, servito nei riti religiosi, impiegato nella farmacopea, consumato unicamente dall’aristocrazia non aveva bisogno di essere contraddistinto da un nome proprio. Bastava proferire ‘vino’ per indicare un prodotto di prestigio, un articolo di lusso, un bene riservato alle classi dominanti.

In età comunale (XII - XIII secolo) il rinnovamento della viticoltura ha come principale artefice la classe dei mercanti e degli artigiani che fa del consumo del vino un segno tangibile, uno status symbol dell'ascesa sociale: a tale scopo investono cospicue quote dei loro capitali nell'acquisto di terreni da destinare alla coltivazione della vite e alla produzione di vini di ottima qualità.

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Le spie indicative che rivelano la generale ripresa di bere vino in sostituzione dell'acqua, del latte o dei succhi di frutta fermentata, sono quelle di un incremento del numero dei miracoli incentrati sul vino e della quotidianaWinex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etrusca distribuzione di razioni di vino nelle infermerie monastiche e negli ospedali dei poveri e dei bambini abbandonati, se pur a questi ultimi dobbiamo ipotizzare una somministrazione di vino abbondantemente annacquato . In merito ai miracoli del vino è da rilevare che gli 'attori' che compiono il prodigio della trasformazione dell'acqua in vino non sono più i santi aristocratici, i pii monaci o i santi vescovi d'età altomedievale, ma sono ora i santi frati appartenenti agli ordini mendicanti o i santi laici già facenti parte di quella classe artigianale- mercantile che aveva promosso la diffusione della viticoltura e il consumo  popolare del vino. Nel momento in cui tutti sono abituati a bere vino, l'imprevista scomparsa della Winex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etruscabevanda per circostanze sfavorevoli quali guerre, epidemie e carestie creano uno stato di disagio psicologico, ancor prima di quello fisico, cui l'inconscio colletivo risponde con una soluzione impossibile:un miracolo, un intervento divino che ha lo scopo di ripristinare la situazione precedente l'evento. E' per questo che nel XIII secolo i santi sono chiamati non solo a curare malattie o a lenire sofferenze, ma anche ad assicurare la disponibilità dell'insostituibile bevanda. 

In età medievale e moderna il vino è la bevanda 'energetica' diffusa a tutti i livelli sociali, la bevanda che non ha concorrenti, la bevanda cui si attribuiscono virtù terapeutiche e che, nel mondo mediterraneo europeo, riveste un ruolo fondamentale nell'alimentazione. Studi sul consumo del vino in Italia per i secoli XIV-XVII hanno quantificato in un litro e più al giorno il consumo per persona adulta, dato che trova conferma nelle cronache e nei libri di ricordanze medievali.Winex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etrusca A titolo d'esempio citiamo un passo del cronista fiorentino Giovanni Villani che sul consumo del vino nella Firenze di fine Duecento riporta dati a lui ben noti: "Troviamo [ ... ] che entrava l'anno in Firenze [... ] cinquantacinque migliaia di cogna di vino, e quando n'era abbondanza circa diecimila cogna più". Stimando la capacità di un cogno pari a 456 litri e moltiplicandola per il dato fornito dal Villani, otteniamo la quantità di 250.800 ettolitri di vino che annualmente giungevano sulle tavole dei fiorentini, cifra certamente rilevante ma lontana da quella di 850.000 etto litri di vino consumati in Borgogna con la vendemmia del 1308.

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Winex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etruscaLa domanda del mercato cittadino di sempre maggiori quantità di vino determina un incremento delle zone rurali destinate alla piantagione della vite che, nell'Italia medievale, sarà coltivata un po' dappertutto, anche in aree non favorevoli quali la bassa montagna o le umide pianure, concentrandosi prevalentemente nelle zone più vicine alle città, più 'umanizzate' e meglio servite dagli investimenti di capitali cittadini. In un' economia rurale il vino, grazie alla forte domanda, costituiva per i coltivatori una delle poche, ma sicure, fonti d'introito. Nelle campagne era frequente che i mezzadri o i laboratores vendessero o cedessero al proprietario dei terreni parte del vino prodotto in cambio della riduzione dei debiti contratti, accontentandosi di bere vini di seconda o terza spremitura. Come per altri generi alimentari, quali il pane e la carne, il consumo delle diverse qualità di vino rispecchia le differenti classi sociali: i vini schietti e pregiati, i vini importati sulle tavole dei ceti abbienti; i mezzi vini, gli 'acquaticci' sulle tavole delle classi povere.

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La domanda del mercato cittadino di sempre maggiori quantità di vino determina un incremento delle zone rurali destinate alla piantagione della vite che, nell’Italia medievale, sarà coltivata un po’ dappertutto

I vini di lusso più ricercati erano i bianchi, ritenuti nobili e raffinati; in particolare i cosiddetti vini 'greci', dolci e ad alta gradazione alcolica, prodotti nelle regioni italiane dell'antica Magna Grecia (AA. VV. 1988). La lista dei vini di lusso continua poi con la malvasia (vitigno di origine greca diffuso nell'Italia medievale per opera della Repubblica di Venezia), la ribolla (vitigno tipico del Friuli-Venezia Giulia e dell'ex Jugoslavia) e il trebbiano (famiglia di uve ampiamente coltivata nell'Italia centrale): tutti vini bianchi di ottima qualità; i primi due forti, dolci e liquorosi, il terzo secco e con un gusto leggermente sapido.

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Il trebbiano è, assieme al vermiglio, il vino servito alla mensa dei priori fiorentini del XIII-XIV secolo. I priori risiedevano stabilmente, come prescritto dalle norme statutarie del Comune, nel palazzo: era loro vietato di uscire, di avere contatti con l'esterno se non per compiti diplomatici. Nel palazzo mangiavano e ad ogni pasta era servito loro il miglior vino della campagna fiorentina. Come ci fanno vedere i vari registri relativi alle spese sostenute dal Comune per il vitto dei Priori, oltre ai costi per carne, pesce e frutta sono riportati gli acquisti di trebbiano da non specificate zone dell'empolese e di San Gimignano. Riguardo al vino rosso, genericamente indicato nei documenti come vino vermiglio, le aree d'approvvigionamento sono quelle del Montalbano in primo luogo, seguite da quelle del Valdarno Superiore, in particolare i versanti dei rilievi che conducono al Chianti. Tuttavia varie quantità di vino provengono dalle aree della Val di Pesa, della Val di Greve e anche dal Chianti (anche se attestate raramente).

Winex, Museo del Vino, Daviddino, Cucina etruscaL'analisi delle quantità di vino e della qualità (bianco/rosso) acquistate per la mensa ci mostra altri dati interessanti. A titolo d'esempio voglio ricordare come il precoce consumo di trebbiano da parte dei priori ci porta alla constatazione che la presenza di vino bianco sulla tavola già nei mesi di aprile e maggio dell'ultimo decennio del Duecento, testimonia un anticipo del di clima caldo, clima che necessariamente richiedeva l'assunzione di bevande fresche.

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Al listino di 'lusso' dobbiamo includere quello dei vini di qualità intermedia, sia bianchi sia rossi, come il moscatello, il nebbiolo e l'arneis piemontesi, il razzese ligure, il groppello lombardo, il. garganigo e il marzemino veneti, il gaglioppo dell'Italia meridionale. Tra i vini bevuti dai ceti popolari oltre alle bevande prodotte semplicemente aggiungendo acqua alle spremiture delle vinacce, e fra i tanti ricordiamo la 'pusca' o 'picheta' piemontese, vi erano vini profumati o speziati: aggiungendo cannella, coriandolo, chiodi di garofano, mandorle, nespole o arance si tentava di recuperare prodotti di scarsa qualità, talvolta anche vini andati a male.

Sin dal XIII secolo gli statuti delle città italiane sorvegliavano, con specifiche norme, la vendita e la mescita del vino: i 'vinattieri', gli osti, i tavernieri erano obbligati a tenere in bottega boccali di ceramica o fiaschi di vetro bollati con sigillo di piombo dagli uffici comunali, a garanzia della misura legale di capacità del recipiente. In applicazione delle disposizioni erano incaricati appositi agenti con il compito di vigilare sull'adulterazione o contraffazione di qualsiasi tipo di vino, sulla corretta mescita e sulla presenza in bottega dei recipienti 'marchiati'. Coloro che contravvenivano a tali norme incorrevano in multe o nella sospensione della licenza.

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Fu nel Medioevo che al vino si cominciò a dedicare maggior cura col risultato di una produzione migliore e di una qualità superiore. Il vino divenne ben presto una bevanda comune che tutti o quasi poterono assaporare senza distinzioni di età e di rango. Fino ad allora il vino aveva mantenuto un basso grado alcolico (oggi lo si definisce titolo o tasso alcolometrico), era spesso allungato con acqua o con mosto cotto, e lo si aromatizzava grazie all'aggiunta di spezie e frutta: miele, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano, fragole, lamponi, mirtilli e altro ancora.

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Il vino, inteso come alimento, non era diverso dai piatti tradizionali serviti nelle tavole di tutta Europa e rappresentava senza ombra di dubbio un elemento di socializzazione. Oggi lo si fa. col caffè, per esempio, mentre nell’Europa medievale (e fino alla scoperta del Nuovo Mondo) si sarebbe totalmente ignorata l'esistenza della bevanda scura e amara che poi grande diffusione avrebbe avuto in tutto il pianeta.

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Il consumo del vino nell’iconografia medievale

Ancora nell' Alto Medioevo fu sotto Carlo Magno (768-814) che venne emanato l'importante Capitulare de Villis (scritto tra il 770 e 1'800) con lo scopo ambizioso di riordinare l'intero ed immenso patrimonio del sovrano carolingio creando regole e leggi che portassero ordine nella gestione e nell' amministrazione delle terre, degli animali e della giustizia. Anche il mondo del vino, pertanto, fu disciplinato e si introdussero regole per la vinificazione con la pulizia dei vasi vinari e con la torchiatura dell'uva (fino a quel momento si era sempre pigiata coi piedi).

 Il divieto del vino per le donne compare già tra le Leggi delle XII tavole: "Se una donna beve vino, il marito, con i parenti di lei, ne determini la pena".

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